Create you own custom course. Learn How?

25
Mar

0

Vita e pensiero di Edward Bach

Trasferitosi a Londra dove terminò gli studi in Medicina, in città gli mancò la tranquillità della natura, tanto che per paura di trovare una nostalgia troppo forte cercò di evitare anche i parchi londinesi.
Allora egli era ancora lontano da rendersi conto che la risposta che cercavano stava tanto nella ricerca scientifica quanto nella natura da lui stesso tanto amata. Ad ogni modo già allora preferiva passare il suo tempo accanto ai malati a lui affidati invece che sui libri, così che ebbe modo di notare la grande diversità di reazioni presenti da paziente a paziente nei confronti della stessa malattia prese l’abitudine di osservare attentamente i pazienti, studiare in che modo le diverse reazioni influenzavano il decorso della malattia, sia riguardo la gravità che hanno durata.
Apprese così che non sempre la stessa cura guarisce la medesima malattia: 500 persone che guarivano, altre 1000 reagivano diversamente o non reagirono affatto.
Pian piano iniziò a rendersi conto che persone con un certo tipo di personalità reagivano allo stesso modo a una medicina, mentre altre con personalità diverse avevano bisogno di medicine o metodi di cura differenti. Bach cominciò allora a convincersi che nella cura di una malattia la personalità dell’individuo era più importante della costituzione fisica in tal modo, scrive Nora Weeks nel suo libro dedicato a Bach, la personalità del paziente, l’essere umano sofferente, divenne per Bach l’indicatore principale del trattamento richiesto; la comprensione della vita del paziente, delle emozioni, i suoi sentimenti, erano tutti punti di primaria importanza nella cura dei malanni fisiologici.
Le teorie per Bach avevano un valore solo se suffragate dall’esperienza pratica, e a tal fine cercò di moltiplicare le sue occasioni di fare esperienze. Nel 1913 lavorò al pronto soccorso dell’University College Hospital. Aprì  inoltre uno studio nei pressi di Harley Street, una zona ricca di Londra. Nel suo studio venne a contatto e si interessò soprattutto di malati cronici e di malati ritenuti incurabili, ricercando e sperimentando con essi nuove metodologie.
Si interessò inoltre alla scuola di immunologia e divenne assistente batteriologo, sempre nella speranza di trovare una risposta ai suoi quesiti.
Gli sembrò di aver trovato una soluzione quando dimostrò che certi batteri, fino allora poco considerati, avevano la loro importanza nella cura di alcune malattie croniche. Scoprì che questi batteri, presenti nell’intestino di noi tutti, lo erano in quantità maggiore nelle persone cronicamente malate.
In settimane e mesi di ricerche preparò dei vaccini che iniettò per via endovenosa. Il risultato fu al di sopra di ogni aspettativa: disturbi come artrite, reumatismi mal di testa scomparvero senza far ritorno. La sua antipatia verso la siringa, da lui considerata uno strumento cruento, lo portò a decidere di ricorrere alle iniezioni solo quando i sintomi ritornavano, e non a intervalli regolari.
Anche questo metodo diede ottimi risultati, e portò un grande cambiamento nella cura delle malattie croniche. All’inizio della 1ª guerra mondiale si voleva arruolare, ma non lo accettarono a causa della sua salute cagionevole.
In ogni caso si impegnò moltissimo, assumendosi la responsabilità di oltre 400 posti letto oltre al suo lavoro di ricerca e di assistente clinico di batteriologia alla scuola di medicina dell’ospedale.
Si riposò pochissimo, e gli accadeva di svenire sul banco di lavoro del laboratorio.
Solo la sua grande forza d’animo gli permise di continuare.
Nel luglio del 1917 , tuttavia, soffrì di una grande emorragia e perse conoscenza.
Si temette per la sua vita i medici chiesero ai suoi genitori il permesso di intervenire con una operazione . Avendogli trovato un tumore, venne avvisato che poche persone in quelle condizioni potevano sperare di guarire, e che nel suo caso si pensava avesse al massimo 3 mesi di vita.
I giorni e le settimane che seguirono furono di grande sofferenza per Bach, e non solo fisicamente.
Si struggeva l’idea di essere costretto a lasciare i suoi sforzi appena iniziati per trovare una medicina davvero efficacie e al tempo stesso semplice. Si rassegnò all’idea di non vivere a lungo, ma decise di lavorare finché l’avrebbero sorretto le forze. Appena fu in grado di camminare, lasciò il suo letto e andò nel laboratorio e si immerse talmente nel suo lavoro da dimenticare se fosse giorno o notte, e ben presto il lume alla sua finestra venne chiamato “la luce che non si spegne mai”.

Col passare del tempo migliorò notevolmente, e se ne rese conto quando un suo collega, incontrandolo per caso, esclamò: ma Bach, non eri ormai morto?
Bach ci pensò un po’, e concluse che il fattore decisivo della sua guarigione era quell’interesse intensissimo che nutriva per la sua ricerca.
Lo scopo della sua vita gli aveva reso possibile di sopravvivere e di riacquistare di nuovo la salute.
Durante l’epidemia di influenza del 1918 gli venne permesso di usare i suoi preparati in provetta, salvando così migliaia di vite nei campi militari dove era medico pubblicò alcuni articoli sulle sue ricerche, e la sua fama si diffuse.
Testo tratto dal libro “Manuale di Floriterapia” in vendita nella sezione libri del sito
Per la scheda completa e per l’acquisto
http://www.helpinthecity.org/librisolidali/libri/manuale-di-floriterapia/

No Comments

Reply